in Cultura e Turismo

CHIANTI, una parola magica che evoca un bicchiere di vino rosso fra i più famosi e apprezzati al mondo, ma la storia di quest ultimo si intreccia da sempre con quella del territorio in cui viene prodotto (l’area compresa tra Firenze a nord e Siena a sud). Una storia non facile da ricostruire, ma affascinante.

Le origini

Alcuni studiosi fanno derivare il termine “Chianti” dall’etrusco “Klante”, nome gentilizio rinvenibile in molte epigrafi. Gli Etruschi in effetti, esperti agricoltori, furono il primo popolo attorno al V sec. a.C ad insediarsi nei pressi di Castellina in Chianti e ad operare i primi disboscamenti per coltivare la vite.
In seguito, anche i Romani continuarono ad impiantare vigne nel Chianti e la pratica della viticoltura si diffuse durante tutto il medioevo grazie al lavoro dei monaci delle abbazie. Il termine “Chianti”, riferito però alla zona geografica, compare per la prima volta in un documento dell’anno 790. Bisogna risalire al 1398 per trovare un documento in cui il termine appare riferito al vino prodotto in questa zona, anche se sappiamo che a quell’epoca il Chianti era un vino bianco, molto diverso dunque dal rosso che conosciamo oggi.

L’evoluzione storica del vino Chianti e del suo vitigno principe: il Sangiovese

Trattato di Soderini

È solo nel XVII secolo che si comincia ad associare il termine “Chianti” al vino prodotto dal vitigno tradizionale che ancora oggi ne costituisce la base: il Sangiovese.
Giovanvettorio Soderini, in un suo trattato sulla viticoltura toscana pubblicato nell’anno 1600, nomina per la prima volta un “Sangiogheto”. L’etimo del termine resta incerto: sembra che derivi dal latino “sanguis jovis”, sangue di Giove, nome dato dai monaci di Santarcangelo di Romagna (ma in Toscana non sono molto d’accordo).
Etimologia a parte, le più recenti ricerche (2004) sul DNA del vitigno indicano come sua origine un incrocio tra due varietà: il Ciliegiolo (tipicamente toscano) e… il Calabrese di Montenuovo!

Durante tutto il ‘600, si intensifica il commercio di questo vino ed aumenta la sua popolarità, tanto che diventa necessario “proteggere” il suo buon nome e regolamentarne la produzione: è così che nel 1716 il Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici emana un bando nel quale definisce i confini del Chianti vinicolo (corrispondenti circa all’area che oggi definiamo “Chianti Classico”) e le sanzioni per la contraffazione. È un primo esempio di disciplinare nella storia italiana.
Un ulteriore e importante passaggio nella storia del Chianti si ha grazie al Barone Bettino Ricasoli, che attorno al 1870 definisce l’uvaggio di composizione del Chianti: Sangiovese (70%), Canaiolo e Colorino (20%), Malvasia del Chianti e Trebbiano Toscano (10%).

Le vicissitudini del marchio

All’inizio del ‘900, la notorietà e il successo internazionale del Chianti portano ad una estensione dell’uso del marchio anche al di fuori dei confini fissati nel 1716.
I produttori del Chianti Classico decidono così di fondare, nel 1924, un Consorzio per la difesa del vino tipico.
In seguito, nel 1932, un decreto ministeriale regolamenta una volta per tutte le zone di produzione del Chianti dividendole in 8 aree: Classico, Rufina, Colli Aretini, Colli Fiorentini, Colli Pisani, Colli Pistoiesi, Colli Senesi, Chianti Montalbano.

Al di là delle divisioni storiche o ideologiche, possiamo concludere guardando “il bicchiere mezzo pieno” (è proprio il caso di dirlo…): la frammentazione è anche indice di una grande ricchezza di varietà, pur con caratteristiche di fondo comuni. Un tratto caratteristico della cultura enogastronomica, e non solo, italiana.

Fonti:
Sito web del Consorzio Vino Chianti – www.consorziovinochianti.it
Sito web www.chianti.it
Gazzetta Ambiente n. 4/2013 – Antonella Anselmo – “L’economia a difesa del territorio e del paesaggio”
Sito web del Consorzio Vino Chianti Classico – www.chianticlassico.com

Articoli recenti

Lascia un commento

Start typing and press Enter to search